e’ il nome di un piccolo paese dell’alta Valle Brembana, un tempo sede di un rinomato mercato di formaggi e di un’importante fiera bovina. Il 21 Settembre, festa di San Matteo, numerosi commercianti, in prevalenza di Bergamo e di Brescia, si recavano in questa localita’ per acquistare il formaggio che da essa, inevitabilmente, prese il nome. Il formaggio grasso dei Branzi (formaggio branzi) era prodotto durante l’estate sugli alti pascoli dei bacini di Val di Foppolo Val di Carona e di altre valli limitrofe; trasportato nelle casere di Branzi, stagionava per 40 o 50 giorni, quel tanto cioe’ che bastava per essere poi venduto in occasione della festa di San Matteo. Il mercato durava tre giorni durante i quali, verso la meta’ del secolo scorso, venivano vendute circa 10.000 forme di Formaggio Branzi. Agli inizi del 1900 la Cattedra Ambulante di Agricoltura organizzava, in concomitanza con la fiera, una mostra annuale del formaggio. Lo scopo era di favorire il miglioramento qualitativo della produzione, individuando le forme migliori e premiando i casari piu’ bravi. Inizialmente il Branzi era un formaggio tipicamente estivo, prodotto utilizzando escusivamente latte intero; durante la rimanente parte dell’anno, sul fondovalle, si produceva il formaggio semigrasso.
In questo modo era possibile ricavare la panna necessaria per produrre il burro, che, in un’economia rurale estremamente povera, rappresentava una preziosa merce di scambio. Il calo della produzione del formaggio d’Alpe che caratterizzo’ il primo dopoguerrra nonche’ la diminuzione del prezzo del burro, indussero gli agricoltori a produrre formaggio grasso durante tutto l’anno. In questo modo fu possibile soddisfare la sempre alta richiesta di prodotto e vennero inoltre incrementati i guadagni dei mesi freddi dell’anno. Il Formaggio Branzi e’ un ottimo alimento, dotato di un’equilibrata composizione chimica e di notevoli qualita’ organolettiche e nutrizionali.
Tecnica di Produzione
Il latte, generalmente intiero, viene coagulato alla temperatura di 35-37° C mediante l’aggiunta di caglio liquido di vitello, cosi’ da ottenere il coagulato in 30-35 minuti circa. Nelle lavorazioni artigianali si procede quindi alla rottura della cagliata utilizzando in successione la spannarola, la spada e lo spino con quest’ultimo attrezzo si ottengono grumi caseosi aventi dimensioni simili a quelle di un granello di riso. Terminata la rottura, la cagliata viene scaldata alla temperatura di 45-46° C; durante questa operazione la massa casseosa deve essere costantemente e delicatamente rimescolata, mediante la tradizionale rotella oppure utilizzando agitatori elettrici. Ultima la cottura e dopo un breve periodo di sosta durante il quale i coagulo si deposita sul fondo della caldaia, la cagliata viene estratta con apposite tele e quindi posta nelle fascere di legno o di resina sistetica. Seguono la pressatura e la salatura effettuata generalmente in salamoia, raramente a secco. La maturazione avviene in ambienti caratterizzati da una temperatura attorno ai 10 gradi circa e da un’umidita’ relativa del 90% circa.