Via dei Contrabbandieri

Punto di partenza
Ponte Frera (1373 m)
Punto d’arrivo
Ronco di Schilpario (1100 m)
Dislivello
955 m
Lunghezza
21 km circa
Tempo medio di percorrenza
7 h circa
Punto di sosta notturno
Rifugio Tagliaferri o 0346 55355
Cartografia
Kompass n. 94 Aprica-Edolo – Tab1Tab2
Info
Promo Aprica o tel. 0342 745153 – Rifugio Tagliaferri o tel. 0346 55355 – Servizio autobus: Sconsigliato per i vari cambi

Via dei Contrabbandieri
Al primo impatto, il nome di questa “Via” sembra abbastanza improprio o, perlomeno, poco originale, perché comune con altri tracciati transvallivi in zone di confine. Percorsi questi che storicamente servivano, principalmente, per accedere agli alpeggi in quota, oppure per lo sfruttamento dei boschi o, semplicemente, per la caccia che, non va dimenticato, costituiva una voce importante nel quotidiano sforzo per la sopravvivenza. Ebbene, la nostra “Via dei Contrabbandieri” è tutto questo, in più può vantare d’essere stata utile non solo agli “spalloni”, ma anche allo sfruttamento delle miniere del Demignone, soprattutto quelle coltivate sul versante settentrionale del monte. Deve, però, la sua pregevole fattura all’opera del Genio Militare che, durante la Prima Guerra Mondiale, ritenne opportuno predisporre una terza linea di difesa la Cadorna che interessava l’intero spartiacque della catena Orobica, qualora avesse ceduto il fronte Stelvio-Adamello. Va da sé pensare che, avendo a disposizione una via tracciata, chiunque ne avesse avuto bisogno l’avrebbe utilizzata e, fra questi, anche i contrabbandieri che muovevano da Carona o dall’Aprica verso le valli bergamasche e viceversa. Nelle gerle la “roba” era quella di sempre: il sale, il caffè, le sementi, le armi e le munizioni da caccia, gli arnesi da lavoro “battuti” nei magli di Schilpario e, di volta in volta, le poche altre mercanzie difficilmente reperibili nella valle opposta o, per i Valtellinesi, quelli richiesti dalla vicina Svizzera. Una pagina di storia riguarda anche il periodo fascista, allorquando sulla Via dei Contrabbandieri transitarono centinaia di Ebrei in cerca di rifugio in Svizzera. All’Aprica avrebbero trovato rifugio presso la famiglia Negri prima di compiere, accompagnati dai coraggiosi valligiani, l’ultimo balzo verso la salvezza. Ora, a noi escursionisti resta uno straordinario percorso intervallivo che consente il camminare per conoscere queste realtà che hanno permesso la millenaria sopravvivenza in un contesto alpino fra i più suggestivi, che consigliamo di avvicinare senza preconcetti, a cervello pulito, così da poter cogliere ogni genuina sfumatura che può essere carpita parlando con la gente dei posti, specie con gli anziani, i più carichi di ricordi e più i disponibili a rimembrare il passato con un “a mé regorde…”
Via dei Contrabbandieri
L’escursione inizia dalla diga di Frera (1381 m), raggiungibile dall’Aprica. Superato il passo dell’Aprica in direzione Sondrio, si devia verso sinistra, immettendosi nella strada che porta a Ponte Ganda. Sempre su strada che più avanti si fa stretta e sterrata si prosegue lungo la valle fino a pervenire al grazioso ed ospitale Rifugio Alpino Cristina (1250 m, aperto tutto l’anno, tel. 337-337997), in località San Paolo di Teglio. Ancora 1,5 km poi, superata la palazzina Falck, la strada di libero accesso ha termine, poco sotto la grande muraglia della diga di Frera al Lago di Belviso, dove è possibile parcheggiare negli appositi spazi segnalati e situati qualche centinaia di metri più avanti. Dal parcheggio si segue l’ampia carrareccia che si sviluppa a tornanti in rapida ascesa fino a raggiungere la diga del Lago di Belviso (1495 m, 30′ dalla partenza). Raggiunta la quota dell’arco di cresta, la nostra via si snoda ora assai dolce, costeggiando a destra il lago e superando la deviazione per il Passo del Venerocolo, altro valico utilizzato per secoli dagli Orobici contrabbandieri. Tutt’attorno fa da corona la catena dei monti orobici, spartiacque tra la Valtellina, la Valle di Scalve e l’Alta Val Seriana. Chi, alzando lo sguardo, non riconosce l’austero Monte Torena o l’aguzzo Pizzo Strinato, posti sul versante opposto del lago? O, davanti a noi, i passi di Belviso e di Venano, sorvegliati dall’alto dal monte Gleno? Un passaggio su un ponte, nei pressi della spumeggiante cascata che precipita dalla Val di Campo, ci fa scoprire un angolo di lago dalle acque limpide, delizia di pescatori o, più semplicemente, degli amanti dell’amena tranquillità. Il nostro percorso prosegue in questo paradiso fino a raggiungere la testata del lago, dove, tra ontani e lamponi, si piega verso destra, immettendosi nel segnavia n. 12 che sale lungo la valle di Pila (1506 m, 1h 20′ dalla partenza). Ora ci si innalza su strada sterrata che diviene poi sentiero lastricato, sviluppandosi in ambiente sempre più ampio e pascolivo, abbandonando così l’orizzonte boschivo e muovendosi a lato del gorgheggiante torrente Pila, che scorre alla nostra destra. Abbastanza rapidamente si guadagna quota.
A 1675 m una passerella in legno ci consente di oltrepassare il torrente, mentre il nostro tracciato, ormai sentiero, si snoda tra pascoli ed arbusti di rododendri, mirtilli, felci ed ontani. Un suggestivo tratto gradinato all’origine (le scale di Pila) e poi, in salita, si raggiunge l’incrocio con il sentiero che proviene dalla Malga di Pila e dal lago Verde e lago Nero (2015 m, 3h dalla partenza). Ci troviamo ormai inseriti nella conca superiore che porta verso i passi di Belviso e di Venano (probabilmente qui i nostri “simpatici contrabbandieri” cominciavano a sentirsi più tranquilli) dove, ben presto, ci immettiamo nella più dolce mulattiera, di fattura militare (1915-1916), che, con ampie diagonali, risale i pendii in un ambiente che riserva vedute mozzafiato ed abitato da colonie di camosci e di marmotte. A quota 2206 m si incrocia il tracciato indicato con il n. 13 che, zigzagando, porta al Passo del Venano, dove poco sotto, sul versante opposto, è situato il rifugio Tagliaferri (2328 m, 4 h dalla partenza). La nostra escursione prosegue ora sul lato bergamasco delle Orobie, percorrendo la mulattiera che scende lungo la Valle del Vo’ per raggiungere Ronco di Schilpario. Superato questo obbligato, ma straordinario posto tappa, si prosegue, per un breve tratto, lungo il sentiero CAI n. 321 per il passo del Belviso, per deviare poi verso sinistra in discesa sulla bella mulattiera militare, il cui primo tratto riserva emozioni, poiché scavata proprio nella viva roccia. Oltrepassato il punto più cruciale, attrezzato con catene metalliche per agevolare il superamento del torrente, la mulattiera si fa ancor più bella e più dolce, di chiara fattezza militare, ma edificata dalle donne scalvine in tempo di guerra, scendendo, tra rododendri e pietrame, il pendio denominato “I Solegà” e portandoci così nell’ampio circo glaciale dove è posta la Baita di Venano di Sopra (1859 m, 1h dal rifugio). Muovendoci ora tra erbe e cespugli di rododendri ed ontani, si perde quota fino a pervenire alla Baita di Venano di Mezzo, circondata dalla tipica vegetazione nitrofila dei luoghi di concentrato pascolo (1679 m, 10′ dalla Baita di Venano di Sopra). Si continua a scendere, toccando la Baita di Venano di Sotto (1542 m) e godendo della bella veduta sulla cascata superiore del Vo’, mentre alla nostra destra, abbarbicato su un cocuzzolo, troneggia il piccolo rifugio intitolato al pioniere dell’alpinismo scalvino Placido Piantoni.
Il torrente Vò inizia a farsi sentire ed osservare: stupendi giochi d’acqua e cascatelle spumeggianti ci accompagnano, inoltrandoci così nel fitto bosco di abeti, dove è eretto l’antico forno fusorio. (La Val di Scalve, per secoli, coltivò le miniere che diedero ferro già ai tempi dei Romani). Si scende sino al ponticello in legno che consente di superare il torrente e una breve digressione a sinistra ci permette di ammirare la stupenda cascata del Vò che, per la ricchezza d’acqua, rende florida la vegetazione. Ritornati sui nostri passi, si prosegue nel bosco di conifere, lungo la sterrata che ci condurrà al Ristorante “Chalet del Vò” (1100 m, 2h-2h 30′ dal rifugio), dove viene fatta terminare questa “storica” via di montagna che parla di agili “spalloni”, furbi ed affamati, di triste emigrazione e di pacata transumanza.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE BENEDETTI L., CARISSONI C., Andar per sentieri, Edizioni Junior, Azzano S.Paolo (BG), 1999 COMUNITÀ MONTANA VALLE SERIANA SUPERIORE, Il Sentiero Alto Serio. DINO NEGRI, Aprica, un viaggio lungo 150 anni, Edizioni Negri, Aprica (SO), 1998. ENZO VALENTI, Orobie, Edizioni Oros, Bergamo. ETTORE BOFFELLI, San Giovanni Bianco di Valle Brembana, Stamperia Steffanoni, Bergamo, 1998. G.A.L. VALLE BREMBANA, Percorsi, luoghi e paesaggi, Edizioni G.A.L., Zogno (BG), 2000. I.V.S., Inventario delle vie di comunicazione storiche, Bollettini IVS, Milano c/o Albano Marcarini, 2000. NEVIO BASEZZI, Valbrembana insieme, n. 1/1993.